un altro stralcio del mio diario, scritto ad Annat il 06.08.07

Fuori l'heur bleu ha lasciato posto alla notte del lago, quasi integralmente nera, se non fosse per qualche luce tenue lasciata accanto alle graziose finestre dei cottage.
Il lago dorme nella bambagia dei monti, abbracciato dal silenzio, cullato dal vento. Sul vetro dell'abbaino della Signora Ferroch, ove sono ospite, battono leggere gocce di pioggia micronizzata e fredda e pungente e linfa sul mio viso ridestato da tanta vita silenziosa e naturale.
Guardo allo specchio il mio viso senza trucco, vedo i miei capelli completamente arricciati e indomabili e mi vedo bella. Non per il mio corpo, quello certo no, ma per quella luce che scopro lì in fondo all'immagine di me riflessa.
Sento lontano il grigiore di Glasgow dalla quale sono partita questa mattina. Pessima città Glasgow. Emblema di tutto quello che la produttività non dovrebbe produrre. Grigio nel cielo soffocato da fiumi e cemento, grigi gli edifici lasciati pascolare sotto una pioggia grigia anch'essa.
Grigio il fiume che ospita grigi cantieri dalle scheletriche dita d'acciaio. Grigio il tentativo di provocare con l'architettura moderna, grigia imitazione del scintillante bankside londinese. Le uniche luci scintillanti e gli unici colori vivaci si trovano, ben ordinate e magistralmente dirette dalla bacchetta del marketing, nella merchant city dove mocciose vestite di tutto punto saettano da vetrina a vetrina agitando e mostrando, come trofei di caccia, shopping bags d'autore colme di ogni dettame delle mode. Cozza disgustosamente con la zeccheria del Barras, dove l'unica cosa che è ben esposta sulle bancarelle, è la povertà. Non tanto i mercanti, quanto piuttosto le paccottiglie in vendita, puzzano di polverose vite in declino svendute in seconda mano su bancarelle ammassate. Ben lontano dal vintage, decisamente non paragonabile al creativo melting pot di camden town, resta solo occasione per qualche affare. Ecco fatto, "qualche altro affare", anche la povertà di Glasgow è assoggettata a quella grande risorsa, divenuta per sua stessa mano, grande piaga: il business. Si sono rincorsi nei secoli i magnati delle industrie e si rincorreranno in eterno, dato che hanno fatto anche della necropoli, motivo di concorrenza e supremazia. Ne restano pessimi quartieri e gotici monumenti funebri.
C'è il piglio di cambiare le cose, trovare un'identità, dare voce alla gente di Glasgow come dimostrano al People's Palace, di oggetti che rivendicano la quotidianità della vita vera. Ancora meglio l'agghiacciante Tenement's house, dove la povertà diventa un curioso monumento per i turisti. Glasgow è una città nata e poi morta, che mi auguro riprenda forza dalla cultura esposta nei diversi musei, o suonata nel festival estivo. Mi pare di vedere una Milano dei peggiori anni '70. Spero che anche Glasgow possa maturare come ha fatto Milano, facendo del business un punto di forza trainante, se è questo che vuole, ma non dimenticando che una città è viva quando vite degne di questo nome, la popolano.
sulla strada verso Annat

La finestra della signora Ferroch

E la nostra mascotte: EGLEFINO
