venerdì 14 settembre 2007

a livio




Corpi, ancora loro, il tormento di un'idea che ho voluto cancellare. Corpi, ricordi che capitano tra le mani nel cambio di stagione, stipati nel cassetto dei vestiti pesanti. Corpi disegnati. Corpi ammassati che si scorrono accanto in sorrisi dolci o strisciati su parole di circostanza. Corpi attraverso vetrate di sguardi distanti, sorrisi misurati in lancette di orari di lavoro. Corpi profanati nei miei occhi, subito cancellati dal colore di un abito che non esiste, che scivolerà via in una pioggia d'acqua vischiosa, intrisa d'arte. Corpi di persone che non si appartengono. Corpi che non appartengono ad alcuna persona. Flash di mani aperte su occhi chiusi, di corpi aggrovigliati destinati a non aversi, abbracci sterili e membra malate.


Poi pace appesa alle pareti.


Linee pulite, morbide, intense. Tagli precisi di lama affilata, cruenti e meravigliosi nel rosso del sangue che nasce da pelle avorio. E bianco e nero a spogliare l'anima per colorarla di unicità. C'erano corpi privi d'abiti, vestiti di colore e c'era il tuo corpo, nascosto in pantaloni e giacca, nudo appeso alle pareti e tu a chiedere scusa di colpe che non esistono, di colpe che potresti permetterti se ti vedessi nudo, come m'illudo di vederti io, negli occhi che spuntano dalla parete, che tu hai fermato e che io vedo immensi.


martedì 11 settembre 2007


Eccomi finalmente scrivo questo post lasciato nell'incubatrice per qualche giorno e ho paura di deludere le aspettative dei miei lettori frementi nell'attesa (si si ok manie di grandezza.) In realtà quello che ho da scrivere è davvero elementare, come l'ingranaggio che splinder usa come icona dell'editing. Ecco ingranaggio, mi viene da pensare questo: siamo una lenta macchina che si appresta a ripartire.


Riaperti gli uffici, riaperti gli armadi, riaperta la posta, riaperte le scuole. Tutto si riavvia, tutto quello che abbiamo costruito e chiamato struttura sociale, planning, quotidianità. Ripartono i tram pieni di gente al mattino, ricompaiono le auto in doppia fila e le attese alle banchine del metrò. Trovo vi sia un fondo rassicurante in tutto questo. Ma pensavo domenica, mentre vendemmiavo per le vigne delle langhe, che mentre noi ci apprestiamo a riavviarci, la natura piano piano si prepara alla sua vacanza. I frutti sono troppo maturi per restare sui rami, è il momento di recidere, accatastare. I frutti dovranno dare il loro prodotto e i rami dovranno tornare a dormire. E' così. La natura ci sa aspettare, ci lascia correre ed organizzare, lei aspetta. Ci lascerà l'inverno per far maturare i nostri frutti tecnologici e ci sorprenderà di nuovo in primavera, ci regalerà l'energia che inizierà a scarseggiare dopo mesi di lavoro. In primavera sarà lei a spogliarci dei nostri abiti pesanti, vendemmierà i nostri frutti maturi e li farà diventare altro, forse vita, forse vacanza o chissà.


Sentivo questa linfa lacrimare dai grappoli tagliati domenica, e sentivo il rumore sordo delle forbici che riecheggiava tra i rami del mio albero genealogico. Sentivo le mani piccole di mia madre che lavoravano i campi e i canti delle donne nei grembiuli. Sentivo le risate di mio padre bambino che mangiava più uva di quanta ne riuscisse a mettere nelle gerle. Sentivo il rumore lontano degli uomini che preparavano i tini e la festa dell'aia che aspettava la fine della vendemmia. Eppure vedevo i nostri quattro volti cittadini. Vedevo le risate, la gioia infantile di un grappolo perfettamente disegnato come nei libri delle elementari. Vedevo il sudore sul volto dei nostri uomini e quasi l'orgoglio per quel metro di vigna così pulito dalle nostre mani.


Mi chiedo se tra sei mesì i miei frutti sapranno regalarmi ottimi calici colmi di dolcetto ruvido sulla lingua e dolce nel palato. Non posso sapere come fermenterà la mia vita nei prossimi mesi invernali, ma non smetterò di ripetermi che "la vita è troppo corta per bere vino cattivo".


Alla vostra ....


venerdì 7 settembre 2007

certezze ed icone

Ci sono certezze che resteranno per sempre intoccabili nelle nostre esistenze. Esempio pratico è la vecchia che anche oggi, a 5 gg dal rientro, ha deciso di mettere in expo una Jacuzzi costosissima che nessuno mai ci comprerà e che finirà nel "paradiso dell'immagine perduta" che è il nostro magazzino. E' una certezza, lo farà sempre, non può assolutamente capire le dinamiche del mercato, incrostrata così com'è nella sua isola che non c'è.


E poi ci sono certezze che ci disegnano addosso. Icone che poi si frantumano. Qualcuno pensa di noi qualcosa che non siamo, che non saremo, che non vogliamo essere. Lì sul foglio bianco con la colonna dei pro e dei contro, dei più e dei meno, ci scontriamo con i "non è detto", i "dipende" e i "forse" e partendo dal presupposto che "più per meno fa meno, e meno per meno fa più", ci si accorge in un attimo che non è facile dare valore assoluto a idee relative. Spesso moltiplicando fattori negativi, si raggiungono risultati positivi. Non chiedetemi il perchè, io a matematica copiavo sempre, e queste regole, questi assiomi, li ho trovati sempre abbastanza relativi (e se mai will leggerà questo post resterà inorridito).


Le icone sono disegni stereotipati che non possono corrispondere ad un insieme molecolare così complesso come un'animo umano. E' difficile accettarlo, implica l'arrivare alla sostanza delle cose e non all'apparenza o implica non cercare altro se non le proprie certezze, accontentarsi dell'immagine. E' una scelta o una non scelta... per conto mio, come al solito, cerco di complicarmi la vita.


mercoledì 5 settembre 2007

Trovo che questa canzone sia smodatamente bella. L'ho sentita sta mattina mentre andavo in ufficio e mi sono apparsi volti delle miei estati, spero che qualche volto si riconosca in queste note... un volto su tutti è quello di Antonio....


Battiato Franco - Aspettando L'estate

L'allegrezza del vento fuga i cattivi pensieri
mentre ogni ombra fugge via le giornate si accorciano

La sera i fuochi inondano i dintorni di luce

La tristezza non prevale su me
col canto la tengo lontana
le giornate si allungano
sto aspettando l'estate

Anche se non ci sei tu sei sempre con me
per antiche abitudini
perchè ti rivedrò dovunque tu sia

Aspettando l'estate all'ombra dell'ultimo sole
sospeso tra due alberi a immaginare
l'estasi dei momenti d'ozio
voglio riscoprire aspettando l'estate

Anche se non ci sei tu sei sempre con me
e sono ancora sicuro che io ti rivedrò
dovunque tu sia




[youtube http://www.youtube.com/watch?v=abXUzqE_Trs]

martedì 4 settembre 2007

SAGGEZZA DI SETTEMBRE ... che pur si fugge tuttavia

SAGGEZZA DI SETTEMBRE ... che pur si fugge tuttavia


E così oggi è il vero primo giorno di lavoro dopo le ferie e probabilmente vi aspettate una sequela di lamentele e invece... tadaaaa: niente lamentele. A dire il vero quello che scoccia di più in questi giorni sono i servizi in televisione e le trasmissioni radio che continuano a menarla su sta faccenda. Gli è presa ai giornalisti sta voglia di allarmismo: e fa caldo, ma non un caldo normale, uno mai visto prima (peccato che è estate e tutti gli anni in estate fa caldo) e poi piove, ma mica piove normale, arriva lo tzunami anche in val padana sebbene non ci sia il mare. E adesso si torna al lavoro, ma mica si ritorna belli riposati dopo le ferie, noooo si torna depressi e angosciati per l'anno che sta iniziando!


Ma io NON CI STO. Le ferie sono state fantastiche, curiose, rilassanti, divertenti e ... finite, perchè le ferie DEBBONO FINIRE. E' giusto così! La vita, quella vera, è un'altra cosa e non è così male. Tornare e ritrovare le proprie quattro mura e pregustare il proprio divano, con la copertina e il maglione di lana grossa che hai rubato al tuo amico, e i piedi intrecciati sotto la coperta mentre sorseggi una tazza calda di thè al gelsomino. La vita è fatta di incazzature, di mattine che vorresti tornare a letto e invece vai in ufficio e quando ti aspetti una giornata fantastica ti si incasina tutto, e quando fuori è tutto grigio e ti pare che di meglio non potrai avere, il meglio arriva e tu non sai che santo ringraziare.


E la vita normale è fatta di amici da ritrovare, di serate a cenare insieme a sperimentare nuovi piatti e a vedere che effetto fa. E' fatto di famiglia, di natale, e di giornate a dire che sei stufo della famiglia e del natale. Io credo che la vita normale sia spesso scomoda, ma molto più spesso degna di essere combatutta. E se così non fosse? Bhè inizierei a pensare che c'è qualcosa nella mia vita di tutti i giorni che non va e magari lotterei, magari chiederei aiuto, magari aspetterei tempi migliori e sognerei una vacanza. Ma ecco, il punto è che la sognerei una vacanza, come appiglio per i momenti veramente duri, come il jolly da giocare, non come la mano che ormai è sul tavolo e va giocata.


Buon anno a tutti ragazzi e buon lavoro (oddio mi sento l'Ilvio!!!!), che i vostri progetti aggiungano un pixel in più al disegno che vorrete realizzare.


questo post è dedicato in particolare a mio marito...

lunedì 3 settembre 2007

Inverness 08/08/2007... dal bancone del pub.



E resta tutto dentro queste quattro pareti tapezzate di parole servite solo a nascondere l'umidità e a creare l'atrmosfera.


Tutto compresso dentro la mia testa con le note chiuse in questo pub.


Ovunque mi giri sento vita scorrermi accanto e vibrazioni nelle dita e nei pensieri. Cerco di trovare i diapason che darà il LA alla forma a queste pagine. Mi chiedo se non impazzirò prima di trovare il modo per raccontare questa vita che mi scappa dall'anima.


Guardo in alto. Luci di diverse intensità e foggia, raccontano i graffiti di tutto un mondo. Intorno, gesti liquidi, così diversi da me. Una chitarra qualunque e in un posto qualunque, diventano qui e ora il mio posto e il mio mondo. Qui, mentre scrivo dal bancone del pub, tra una birra rossa e una strada che mi aspetta per essere percorsa, sono a casa.



p.s. se vi capitasse di essere da quelle parti.... John Lennon Northern Lights Festival

sabato 1 settembre 2007

glasgow e annat

un altro stralcio del mio diario, scritto ad Annat il 06.08.07




Fuori l'heur bleu ha lasciato posto alla notte del lago, quasi integralmente nera, se non fosse per qualche luce tenue lasciata accanto alle graziose finestre dei cottage.


Il lago dorme nella bambagia dei monti, abbracciato dal silenzio, cullato dal vento. Sul vetro dell'abbaino della Signora Ferroch, ove sono ospite, battono leggere gocce di pioggia micronizzata e fredda e pungente e linfa sul mio viso ridestato da tanta vita silenziosa e naturale.


Guardo allo specchio il mio viso senza trucco, vedo i miei capelli completamente arricciati e indomabili e mi vedo bella. Non per il mio corpo, quello certo no, ma per quella luce che scopro lì in fondo all'immagine di me riflessa.


Sento lontano il grigiore di Glasgow dalla quale sono partita questa mattina. Pessima città Glasgow. Emblema di tutto quello che la produttività non dovrebbe produrre. Grigio nel cielo soffocato da fiumi e cemento, grigi gli edifici lasciati pascolare sotto una pioggia grigia anch'essa.


Grigio il fiume che ospita grigi cantieri dalle scheletriche dita d'acciaio. Grigio il tentativo di provocare con l'architettura moderna, grigia imitazione del scintillante bankside londinese. Le uniche luci scintillanti e gli unici colori vivaci si trovano, ben ordinate e magistralmente dirette dalla bacchetta del marketing, nella merchant city dove mocciose vestite di tutto punto saettano da vetrina a vetrina agitando e mostrando, come trofei di caccia, shopping bags d'autore colme di ogni dettame delle mode. Cozza disgustosamente con la zeccheria del Barras, dove l'unica cosa che è ben esposta sulle bancarelle, è la povertà. Non tanto i mercanti, quanto piuttosto le paccottiglie in vendita, puzzano di polverose vite in declino svendute in seconda mano su bancarelle ammassate. Ben lontano dal vintage, decisamente non paragonabile al creativo melting pot di camden town, resta solo occasione per qualche affare. Ecco fatto, "qualche altro affare", anche la povertà di Glasgow è assoggettata a quella grande risorsa, divenuta per sua stessa mano, grande piaga: il business. Si sono rincorsi nei secoli i magnati delle industrie e si rincorreranno in eterno, dato che hanno fatto anche della necropoli, motivo di concorrenza e supremazia. Ne restano pessimi quartieri e gotici monumenti funebri.


C'è il piglio di cambiare le cose, trovare un'identità, dare voce alla gente di Glasgow come dimostrano al People's Palace, di oggetti che rivendicano la quotidianità della vita vera. Ancora meglio l'agghiacciante Tenement's house, dove la povertà diventa un curioso monumento per i turisti. Glasgow è una città nata e poi morta, che mi auguro riprenda forza dalla cultura esposta nei diversi musei, o suonata nel festival estivo. Mi pare di vedere una Milano dei peggiori anni '70. Spero che anche Glasgow possa maturare come ha fatto Milano, facendo del business un punto di forza trainante, se è questo che vuole, ma non dimenticando che una città è viva quando vite degne di questo nome, la popolano.


sulla strada verso Annat



La finestra della signora Ferroch



E la nostra mascotte: EGLEFINO