lunedì 29 marzo 2004

SIAMO NOI STESSI?&...

SIAMO NOI STESSI?



Prendo spunto dal blog di Lapo, che come sempre mi ha fatto riflettere. Oggi si parla di "essere se stessi".


Io credo sia quasi un'utopia pensare di essere in qualunque momento "noi stessi" allo stato puro, senza condizionamenti e comincio a dubitare che davvero mi importi della purezza dell'essere "me stessa" o di dire direttamente "chi sono". Davvero mi importa il modo in cui una persona decide di raccontarsi? Davvero voglio essere sempre diretta e precisa? Mi spiego. Immaginiamo la situazione: siamo tutti in un bar, c'è un sacco di gente. Io scelgo di vestirmi, pettinarmi, atteggiarmi e parlare in un determinato modo e voi fate lo stesso, come facciamo d'altro canto nella realtà. L'ambiente "artefatto" è comune a tutti, non è quindi una variabile che può condizionare solo alcune persone. Tutti abbiamo atteggiamenti diversi. Se vogliamo usare una figura retorica, tutti indossiamo una maschera. Io credo che la scelta stessa della maschera che DECIDIAMO di indossare in quel frangente, dimostri CHI SIAMO, perchè operiamo una scelta che nasce dalla nostra personalità stessa. E uno fa lo spaccone perchè in fondo è timido e se fosse in un'altra situazione non lo farebbe? E che importa? Facendo lo spaccone ha deciso di raccontare, attraverso una metafora, se stesso, la sua timidezza e il suo modo di affrontare la vita di petto. Altri affrontano la situazione in modo diretto, parlando di se stessi senza preamboli, va bene lo stesso. Decidere come interretarci penso dica molto di una persona. Traggo quindi questa conclusione teorica: che si è sempre se stessi, anche quando entriamo in scena, solo che mascherandoci, utilizziamo metodi indiretti per raccontarci.

10 commenti:

  1. Ciao. Ti ho risposto sul Blog di Lapo.

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  2. Credo che la maschera scaturisca da se stessi, ma non sempre ne racconta indirettamente. Potrebbe svelare qualcosa di se stessi all'occhio attento, o nascondere e farci apparire il contrario di tutto, o non nascondere niente, allora non è proprio una maschera.
    Magari "se stessi" è una maschera di qualcosa ancora più profondo che non siamo in grado di decifrare, ma solo subire più o meno consapevolmente.
    E poi a ogni maschera corrisponde una realtà diversa, una combinazione magica che potrebbe essere l'ideale o no (come recita un certo Godano)... ma come anche tu dici, chi se ne importa?

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  3. Una domanda:
    ma costruire, mantenere, adattare, imporre la maschera che si sceglie di volta in volta non vi suona come un gran spreco di energia? Perchè non mettere al servizio della conoscenza di sè e degli altri (a loro volta senza maschera, magari!) tutto quel tempo?Perchè invece di costruirsi "ciò che si vuol sembrare", non mettersi a costruire (magari insieme ad altri, appunto) ciò che si vuol diventare?

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  4. Dipende dall'ambito a cui ti riferisci. In alcuni ambienti è impossibile costruire ciò che si vuol diventare senza mantenere vivo ciò che si vuole sembrare. In altri la maschera diventa un gioco necessario e divertente, in altri contingente, ma divertente. Ti faccio un esempio. Luca Zolari, un mio amico di Fidenza, è diventato un uromastice dopo che per vent'anni amici e parenti gli dicevano di sembrare un uromastice. Ma forse non c'entra niente.

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  5. bhè blog... non è che uno passi le ore a disegnarsi la maschera, penso sia una normale reazione istintiva e penso che per costruire qualcosa bisogna sapere di che materiale si dispone. Sarà deformazione professionale, ma senza elementari indici di fabbrica non posso sapere cosa posso costruire. LA conoscenza di sè penso sia li primo mattone che porta alla conoscenza degli altri.

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  6. L'uromastice è un sauro molto bello e con la coda spinosa.

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  7. mi piace sapere che ci siete. statemi bene tutti, uromastice compreso.

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  8. uhm ... me lo segno come nuovo vocabolo del giorno... mi tornerà utile

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