mercoledì 14 maggio 2008


LA CUCINA



Guardava la sua cucina così disastrata. L'aveva pulita per ore, immaginando minuziosi dettagli che la rendessero quella dei suoi sogni. E ora i piatti invadevano il lavello e il piano. Gli scarti della sua vita restavano serviti nei piatti incrostrati. Avrebbe dovuto svuotare la lavastoviglie e fare posto ai piatti sporchi, dieci minuti e tutto sarebbe tornato al suo posto, ma era stanca. Il solo pensiero di alzare un braccio le costava una fatica disumana e così restava appoggiata al muro, con la bottiglia in mano, a guardare tutto quello scempio di sogni diventati rifiuti. Sapeva piangere, solo piangere. Ma non di quei pianti da accademia, con urla e strepiti. Un pianto senza sussulti e grida, due lacrime infinite che scivolavano sul volto e silenziose si asciugavano da sole lasciando due occhi gonfi che potevano nascondersi semplicemente con un po' di trucco.

La tavola restava abbandonata, le sedie non accostate, come se qualcuno si fosse alzato di corsa da lì. E invece no. Le sedie erano rimaste vuote come lo stomaco che si rifiutava di mentire, che gridava e piangeva come gli occhi non sapevano fare. Se ne fregava lui, se non stava bene. Una tavola apparecchiata ha senso solo quando una famiglia si siede per cenare, chiaccherare, condividere ed amare. E possono essere tante le sedie pronte o solo una ... ma è l'armonia che fa di un tavolo una cucina, una casa, un posto dove stare e sentirsi al sicuro. La cucina quella sera era un campo di battaglia

Nessun commento:

Posta un commento