giovedì 29 dicembre 2005

Sistemavo la cantina oggi e ho ritrovato alcune vecchie musicassette. Ce ne sono due che hanno aperto un cassetto della mia memoria. Le aveva intitolate "di libertà ....mi piace spettinato camminare" come la canzone di Branduardi. Ci ha messo dentro la sua raccolta preferita di brani di Bert Jansch dei Pentangle, ma anche Paul Simon, Tim Hart... il suo mondo insomma. Poi nell'altra mise le musiche che piacevano a me e che mi dovevano tenere compagnia quando la sera partivo da via Solari per tornare a casa. Era quasi un'avventura ogni volta, per le mie prime notti solitarie in auto. Mi ha fatto scoprire cose meravigliose, delicate, pulite. Mi ha fatto ascoltare Beethoven, mi ha fatto salire in ascensore con Cecchi Paone (della quale ero perdutamente invaghita). Mi ha fatto entrare nella sua casa, ha composto per me una canzone in stile celtico e le ha dato il mio nome. Suonava con "Veronica", la sua chitarra, goccie di dolcezza in quel mio mondo fatto di rifiuti. E abbiamo passeggiato, preso il tram, parlato molto, fatto spese, mangiato brioches tra gli universitari del sabato mattina. Un giorno mi raccontò di un sogno fatto della ragazza dei suoi sogni che veniva da Stonehenge, io lo ascoltai e poi gli raccontai dell'estate precedente quando visitai la mia Londra e Stonehenge....lui rimase folgorato. Era nato ad Agrigento, ma sono sicura che in un'altra vita fosse celtico. Dolce e spettinato Anto, sempre, anche quando me ne andai per l'uomo che mi aveva rapito il cuore, come lui, in fondo, aveva sempre saputo. F. riapparse nella mia vita, e io rimasi schiava di un'altra canzone questa volta di Battiato, "La Cura". Mi piacerebbe mandare gli auguri di buon anno ad Anto, che davvero merita la vita più serena che si possa augurare, ma non riesco più a rintracciarlo. Di tutti gli appunti di quell'anno rimane solo un mucchio di cenere a testimoniare un momento di rabbia. Non ho più il suo numero, non ho più il suo indirizzo. Per quanto ne so potrebbe non essere nemmeno più in Italia, lui bocconiano atipico dalle ottime possibilità. Ovunque tu sia Anto, buon anno e grazie infinite per la tua dolcezza...



Confessioni di un malandrino


Mi piace spettinato camminare
il capo sulle spalle come un lume
e mi diverto a rischiarare
il vostro autunno senza piume.
Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell'ingiuria,
mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.
Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne e il muschio hanno sommerso
ed i miei che non sanno di avere
un figlio che compone versi;
ma mi vogliono bene come ai campi
alla pelle ed alla pioggia di stagione,
raro sarà che chi mi offende
scampi alle punte del forcone.
Poveri genitori contadini,
certo siete invecchiati e ancor temete
il Signore del cielo e gli acquitrini,
genitori che mai non capirete
che oggi il vostro figliolo è diventato
il primo tra i poeti del Paese
e ora in scarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.
Ma sopravvive in lui la frenesia
di un vecchio mariuolo di campagna
e ad ogni insegna di macelleria
la vacca si inchina sua compagna.
E quando incontra un vetturino
gli torna in mente il suo concio natale
e vorrebbe la coda del ronzino
regger come strascico nuziale.
Voglio bene alla patria
benchè afflitta di tronchi rugginosi
m'è caro il grugno sporco dei suini
e i rospi all'ombra sospirosi.
Son malato di infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d'Aprile,
sembra quasi che l'acero si curvi
per riscaldarsi e poi dormire.
Dal nido di quell'albero, le uova
per rubare, salivo fino in cima
ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima;
e tu mio caro amico vecchio cane,
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
e giri a coda bassa nel cortile
ignaro delle porte dei granai.
Mi sono cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po' di pane
e si mangiava come due fratelli
una briciola l'uomo ed una il cane.
Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi,
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa chge vi tocchi.
Buona notte alla falce della luna
sì cheta mentre l'aria si fa bruna,
dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.
La notte e` così tersa,
qui forse anche morire non fa male,
che importa se il mio spirito è perverso

e dal mio dorso penzola un fanale.
O Pegaso decrepito e bonario,
il tuo galoppo è ora senza scopo,
giunsi come un maestro solitario
e non canto e celebro che i topi.
Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome,
voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.

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