lunedì 17 gennaio 2005


Sabato, gita a Padova. La scusa il BikExpo, la verità è che ci volevo andare già da un po’.


Non ho mai ben capito perché nonna fosse devota a S. Antonio dato che non è mai stata un’esile nonnina tutta casa e chiesa. Anzi era solita ripetere nella sua saggezza schietta che “la strada tra casa e chiesa è spesso molto lunga”. Il suo vocabolario era, come spesso accade in veneto, punteggiato di bestemmie anziché di virgole, ma sono persone di cuore e non le dicono con cattiveria. Eppure ogni anno, non mancava il suo giretto a salutare S. Antonio. Tornava poi qui in Lombardia portandoci salami all’aglio, pan biscotto, candele e santini.


Io un po’ la penso come lei, credo in Dio, molto meno nella Chiesa fatta di uomini, intesa come istituzione, rito, politica e potere.


Però quella chiesa mi ha colpita, nonostante non ami le chiese ricche di ori e sfarzi, sarà stato forse per le volte molto alte, dipinte di blu con le stelle dorate, che davano un po’ l’impressione di pregare sotto un vero cielo stellato. O forse è stato per il “chiostro della magnolia”, che mi ha dato la sensazione di camminare tra il silenzio intriso di colpe e di speranze.


O più semplicemente mi ha emozionato sapere che quella era la “chiesa della nonna”. Mi è sembrato quasi di sentirla, di sentire la sua voce dirmi “finalmente sito arivà”…come se mi avesse sempre aspettato lì. Ho toccato il marmo verde, dove sicuramente lei ha passato la sua mano, pregando perché le venisse fatta la grazia di vivere ancora un po’, forse la grazia di proteggere il nonno autista, forse la grazia di avere in gloria il fratello morto in moto… o più semplicemente, da chioccia come mi piace pensarla, ha chiesto che la sua famiglia fosse protetta visto che S. Antonio è protettore dei bambini.


E’ stata un’emozione forte, violenta e abbastanza inaspettata. Ho iniziato a singhiozzare. Come se fosse stata una liberazione, come fossi arrivata nel luogo giusto per piangere, ma un pianto liberatorio, non triste. Ho sentito in quel momento ancora più forte la sensazione del “passaggio di testimone”. Ho sentito scendere in me una nuova forza, una nuova responsabilità nei confronti della mia vita e della vita della mia famiglia, come se ora il compito di proteggere tutti toccasse a me.


So di non essere sola, di avere i miei genitori, ma sento che il compito di avere le spalle larghe e il seno abbondante fatto proprio per abbracciare, sia destinato a me. Una volta questo pensiero mi avrebbe spaventato, mi avrebbe fatto sentire sola e inadeguata, ora forse sto crescendo e comincio a pensare che questa sia la mia “missione”, il vero motivo per cui sono qui.


L’unica cosa che mi ha scossa è stato trovarmi faccia a faccia con le reliquie perché non voglio e non posso ancora accettare il fatto che la morte è fatta anche di un corpo umano che si cancella lentamente. E’ stato il mio incubo per anni, il motivo per cui ancora oggi non vado spesso al cimitero, e penso che quello che debba rimanere della lingua di qualcuno siano le parole pronunciate, e non un gomitolo di fibre in decomposizione e non credo che vederle esposte in una tecla d’oro, minimizzi l’aspetto macabro e intimidatorio.


Sono stata felice che in quel posto per me importante, ci fosse lui al mio fianco. E’ stato il mio solito angelo silenzioso. Non ha fatto domande, ha rispettato i miei riti (anche se per lui forse avevano poco senso) ed era lì appena mi sono girata singhiozzando tra le sue braccia. Il mio angelo speciale nel mio posto speciale.




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