giovedì 27 ottobre 2011




Ciao stupido capellone...







Sto rivivendo quel giorno, insieme a Sic. Me ne rendo conto, l'attrazione che ho per la celebrazione della morte di Sic, è un rivivere un lutto che mi hai negato. Quando te ne sei andato, hai scelto di farlo di corsa, senza fronzoli, senza una tomba, senza una foto, nessuna traccia. Non era importante per te, e non era nemmeno premeditato. Due ruote, una frazione di secondo, nemmeno il tempo di guardare il sole un secondo, formulare un pensiero, dire addio a qualcuno. Tu e Marco sull’asfalto, segni di gomme e di sangue. La piazza piena di gente, i dirigenti, i colleghi, amici e silenzio, oggi e 5 anni fa, increduli, affranti senza la capacità di associare al tuo viso, al viso di Marco, l’immagine composta e ghiacciata della morte. La rabbia di un rito funebre, dove le parole di cordoglio, speranza, eternità sembrano vuotarsi di valore semantico e spirituale per sembrare un oltraggio al dolore. Quale speranza? Quale eternità davanti a morti così violente e radicali, davanti a giovani vedove, e a genitori che piangono un figlio, lacrime inconcepibili. Ci sono tanti modi in cui un padre o una madre piangono per il figlio, quando nasce per la gioia, per le preoccupazioni e il senso di inadeguatezza mentre cresce, di gioia per ogni sorriso e per ogni conquista. No, non esistono lacrime per un figlio che muore, e infatti la madre di Marco sorride, ancora non ha capito cosa è successo. Continuerà a parlarti, lavare le tue posate, apparecchiare al tuo posto. Continuerà a dire “la moto di Marco, la camera di Marco, la felpa di Marco, la 24 ore di Antonio, la sciarpa della Roma di Antonio”
Dopo il funerale sei sparito, e di te mi è rimasta solo l’immagine di quel fiore di pesco che piangeva petali rosa sulla mia auto. Di Marco restano tante foto, interviste. Ecco, la paura di dimenticare la tua voce che tante volte mi ha raccolto, questo è uno degli aspetti stupidi e feroci della morte. Il restare aggrappato a feticci di vita, e tu lo sapevi. Sai che mi sarei straziata su piccoli stralci di te, che lo avremmo fatto in molti, e hai fatto in modo di far sparire tutto, anche la lapide, ancora per proteggere me e quelli come me, ma questa volta non so se hai fatto bene. Il ricordo è un problema da vivi, me ne rendo conto, tu ti sei arrogato il diritto di morire e mi hai tolto la possibilità di elaborare il lutto come avrei preferito, per questo sono arrabbiata con te. Non ho mai sopportato quando decidevi per me. E la rabbia ti tiene vicino a me, come quando discutevamo per ore di inutili se e ma. E la rabbia di oggi, per la morte di Sic, porterà via questa rabbia che sento dentro, perché lui mi sta concedendo la lentezza di un addio.
Mi vengono in mente quelle immagini allegoriche e un po’ psicopatiche, voi due, alla cave, a fare gli idioti con le moto, sporchi di fango e in piedi. Restate in sella ora, restate insieme.
Che puttanata la vita. Mentre scrivo queste righe arriva un messaggio, sono nati due gemelli. Proprio ora, proprio in questo istante quando è inevitabile sentire il passaggio del testimone di vita, proprio quando vorresti imprecare contro la morte, due schiaffi neonati ti riportano a cose terrene, ferocemente felici e reali, come lo siete stati voi, Marco e Antonio, e come lo siete ancora, come lo sarete sempre… dannazione. E benvenuti piccoli, che con i vostri sei secondi di vita, mi avete già dato una lezione importante.











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