Le cose da scrivere sarebbero tante ma sono stata un po' zingara in questi giorni. Intanto vi copio in formato digitale un appunto cartaceo scritto il 09.08.2007 dalla città di Ballater dove erano in corso i Giochi Celtici.
Seduta al tavolo del ristorante, fortunatamente vicino alla vetrata, mangio il mio salmone con patate condito con crema di formaggio. Solo il mio corpo è seduto a cenare, la mente è fuori, sulla strada appena dietro il vetro sottile.
Suoni di cornamuse riecheggiano ad ogni angolo del paese ed è tutto un movimento intorno. Sento la pulsione irrefrenabile di alzarmi da questa immobilità, di abbandonare quest'aria chiusa, scalciare questa sedia ingombrante.
Guardo, con mal celata invidia, i volti che camminano sul marciapiede. Volti che sembrano assolutamentoe sapere dove andare. E' un'invidia già provata per i londinesi, perennemente in movimento, decisi, curiosi e vivi... ed io così immobile.
Prima, nel prato adiacente alla chiesa, ho visto una compagnia di amici. Due di loro giocavano con finte spade e poi si sono abbracciati e rotolati sul prato e una terza, subito dopo, si aggiunta con una capriola al tafferuglio di risate e condivisione.
E poi ancora, guardo gli occhi della cameriera che nel frattempo è giunta al tavolo a chiedere se desidero ancora qualcosa (e Dio solo sa quanto io voglia ancora). Anche lei, come me, è dentro questa scatola a forma di ristorante, ma i suoi occhi cercano la vita fuori dalla vetrina dove gli amici la stanno aspettando al bar di fronte, intasato di cornamuse e risate.
Non resisto, devo uscire. Ho bisogno di una birra, ho bisogno di aria, ho bisogno di una strada e di uno sguardo sicuro che sa dove andare. Ho bisogno di vita da vivere, di solitudini che mi riempiano l'anima. Impazzirò, ne sono certa, se non troverò il modo di appartenere a me stessa.